Gruppo di Ricerca Storica

 

Estensione che si occupa di ricercare e catalogare fotografie, storie e oggetti appartenuti ad un passato glorioso sepolto quasi definitivamente con la nostra Libertà, nella volontà di ricostruirne gli avvenimenti.

Con particolare riguardo per la città di Varese.

 

Ognuno al suo interno dà il suo contributo attraverso una approfondita ricerca internet e cartacea, la trascrizione di testimonianze, l'acquisizione di preziosi reperti militari e civili e di documenti riconducibili ad Eroi disconosciuti dall’età moderna.

 

È forse questa la nostra eredità più importante: raccogliere testimonianze della storia per divenire custodi di un Ideale, che,  un giorno non troppo lontano, tornerà a brillare per salvare nuovamente questa Europa stuprata da una tribù di uomini senza terra né storia.

DRITTO NEGLI OCCHI

 

L’articolo che segue, trascritto per una maggiore facilità di lettura, m’è costato un conflitto interno ben superiore al solito.

Quando si tratta di riportare le parole dell’infimo traditore di tutti i tempi non è mai facile, troppi ricordi e pensieri “cintano” la mente, ferendola nel profondo, giù fino al cuore.

Non ci può essere raziocinio che tenga soprattutto se certi avvenimenti riguardano la sfera privata.

 

Vi ricordate lo scalpore che suscitò, quattro anni fa, la nostra iniziativa:

“Chiediamo che venga messa fuorilegge l'ANPI su questo Paese, che sia chiusa fino all'ultima sezione e che vengano processati per crimini di guerra TUTTI i Partigiani ancora in vita” ?

In due giorni superammo le mille firme e, poco prima che chiudessero l’accesso alle firme, arrivammo a quota 1647.

Uno strumento democratico che scricchiola in ogni sua parte, la raccolta firme, ma che ebbe la sua risonanza.

Le ombre senza patria che strisciano intorno a noi gridarono allo scandalo.

Non ci scomponemmo. Rimanemmo lì, ad attenderli. Insieme ai Nostri morti.

Non si fecero vedere.

L’ignominia dei loro misfatti rompe gli armadi della Vergogna travolgendo chiunque provi solo ad avvicinarsi.

 

Ed eccoci qua, a pochi giorni dalla giornata della loro Memoria, a ricordarvi con quali parole,  Fenus sull’organo del CLN di Varese (Corriere Prealpino) il 16 maggio 1945, difendeva la pratica della ‘Rapatura’ che centinaia di ragazzine dai 12 anni in su subirono, dopo violenze sessuali indicibili,  in pubblica piazza.

Per coprire la loro sporcizia mentale dovettero accusarle di ‘tresche’ con il tedesco.

E se mai dovessimo accettare con nausea queste ignobili accuse, ci dovremmo sentire legittimati ad usare tale pratica anche oggi verso chiunque si adoperi al mescolamento razziale?

«Dimenticare di avere una dignità da difendere contro qualunque straniero, tanto più se è un nemico del popolo, è ributtante ed è, soprattutto, pericoloso».

Così recitava il Fenus, non certo un suprematista bianco.

 

Non basta recintare certi episodi in un determinato periodo storico e chiuderlo in esso perché, se ciò avvenisse, dovrebbero seguire subito dopo le scuse ufficiali di un’associazione che, in uno Stato riscopertosi democratico dopo il Regime, non avrebbe mai avuto nessun motivo di nascere

Scusarsi vorrebbe dire cancellare il proprio concepimento.

 

Non conoscete la dignità per questo vi è sconosciuto il significato della parola Libertà.

Temete, anzi, di scoprirlo, tremate solo all’idea, perché la Libertà porta seco la Responsabilità dell’individuo, è questo che il Fascismo insegnò con cuore grande e benevolenza da Padre amorevole quale era. E pagò caro la sua bontà una volta liberati, dalle truppe del Giudaismo “Americano&Russo”, i degenerati da lui stesso mantenuti al confino.

 

Poco può fare il vostro asservimento al Grande Padrone:

siete condannati all’inevitabile oblio riservato dalla Natura ai suoi errori.

Inutile per la vostra esistenza obbligare giovani alunni a disegnare all’interno delle scuole italiane Stelle di David e riportare le maledizioni di un ebreo che oscura il sentimento dell’Amore con la sua bile:

«O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi».

Siete giunti al termine.

Prima però vi guarderemo dritti negli occhi mentre sarete divorati dalle tenebre dell’infamia.

 

 

 

 

RAPATURE

 

La fragilità è femmina . D’accordo. La fragilità di certi sentimenti, come quello della dignità e del pudore è forse la più diffusa e delicata. Troppe fanciulle e troppe “signore” anche della cosiddetta “società” hanno trescato coi Tedeschi, vendendo pudore e dignità per poco, molto poco, con una valutazione veramente fallimentare dei valori morali più geloso della loro personalità femminile. E coteste generose porgitrici d’amore subiscono ora un castigo pepato, umoristicamente efficace: la rapatura.

La perdita delle zazzerette mette a nudo i loro meloncelli acquosi; e, almeno per un semestre, le pone nella non elegante situazione di starsene rintanate , o di aggirarsi svergognate per le vie delle città e dei paesi con un fazzolettone sul cranio pelato: inequivocabile segnale della loro condizione di consolatrici del nemico, di italiane indegne delle molte, moltissime donne che hanno sofferto e soffrono, piegate dalla sventura.

Dimenticare di avere una dignità da difendere contro qualunque straniero, tanto più se è un nemico del popolo, è ributtante ed è, soprattutto, pericoloso.

Le capigliature recise, ritorneranno sulla cuticagna delle “rapate” ma l’avvertimento dato, dovrebbe far meditare tutte le femminucce che, dimentiche di se stesse e della loro qualità di donne italiane, fidanzate italiane, di spose italiane ed anche (purtroppo è vero) di madri italiane hanno corso e corrono senza freno il palio della prostituzione a chi, per il loro contegno, non può che giudicare con disprezzo la donna italiana.

Raperemo ancora!

Nella sua prima intervista rilasciata dalla fine della guerra, il fondatore della nuova Italia suddita della Massoneria, Pietro Badoglio, incide nel marmo bianco della lapide della defunta libertà del nostro popolo, con nauseabonda candidezza, quanto il generale Eisenhower a Malta gli disse.
È un passaggio di una gravità inaudita che, gli storici di qualsiasi fazione, hanno deliberatamente inscatolato e chiuso nel caveau dei segreti italiani.

 

Qualcuno potrebbe obiettare che non tutto può essere setacciato e controllato sotto la lente della ricerca storica, che un giornale come un libro potrebbero essere non intenzionalmente lasciati da parte dagli storici ma, magari, sono solo andate perse certe notizie perché apparse o su un libro o su un giornale di poco interesse o, apparentemente, non rilevanti.
Verissimo. In questi anni, posso testimoniare, come notizie o storie a mio avviso esplosive siano giunte tra le mie mani quasi per fortuna, spinte dal destino verso la mia ‘coda dell’occhio’, ma qui non è così.


Quest’intervista è stata al centro di controversie legali, di scontri tra redazioni, di botte e risposte tra politici di alto rango. Tutto verteva su quanto affermato sull’esecuzione di Ettore Muti.
C’è dell’altro, però, a doverci interessare.

 
Il settimanale L’ELEFANTE del 6-12 settembre 1950 esce con il titolo in caratteri cubitali: “BADOGLIO HA ROTTO IL SILENZIO”.

Questa sua chiacchierata con Italo De Feo (antifascista e suocero di Emilio Fede, ndr.) oltre a dimostrare un logorio interiore cognitivo dovuto probabilmente alla progressiva demenza senile (la si può notare anche  sul suo volto nelle fotografie a corredo del giornale) porta seco drammatiche e gravissime dichiarazioni, tali da inchiodare il primo comandante in capo della NATO e futuro 34° presidente degli Stati Uniti, il generale Eisenhower, come CRIMINALE DI GUERRA.


Riportiamo il trafiletto di interesse nazionale qui di seguito.
«Dopo che firmai l’armistizio il generale Eisenhower manifestò il desidero di trattenersi con me da solo a solo. Eisenhower disse: 
“Avete fatto bene a firmare” e tirò fuori da un cassetto una pianta di Roma nella quale la zona della Città del Vaticano era segnata con un cerchietto rosso. Me la porse e disse laconicamente: “Il resto sarebbe stato distrutto”.
Ripose la carta nel cassetto e ne tirò fuori un’altra molto più grande. Era una carta dell’Italia su scala 1:1.250.000, di quelle in uso presso lo Stato Maggiore.
“Guardate” - ed indicò delle zone tratteggiate a diverso colore. Il Comando Supremo Alleato aveva concentrato sulle sue basi aeree cinquemila fortezze volanti, senza contare i caccia. L’Italia era stata divisa in tante zone distinte che avevano, pressapoco, 200 chilometri di larghezza per duecento di profondità.
La prima zona andava da Napoli a Roma.
“Su queste fasce di terra – disse Eisenhower – avremmo concentrato per 15 giorni di seguito tutta la nostra aviazione, con l’impiego calcolato di ogni apparecchio per due azioni giornaliere. Così su questa fascia di duecento chilometri avrebbero agito ogni giorno diecimila apparecchi.
Dopo quindici giorni di bombardamenti non una sola casa  delle vostre città e dei vostri villaggi sarebbe rimasta in piedi. Poi saremmo passati alla fascia seguente”.


Qualsiasi persona civile sarebbe inorridita e pentita di aver firmato dunque l’Armistizio con un delinquente senza pari, una canaglia alla quale recidere -senza eufenismo- la carotide con un taglio netto per il bene dell’umanità tutta.
Invece, il protetto della Massoneria fin dai tempi di Caporetto, rincara la dose:


“Quando ricordo queste parole di Eisenhower sento indignazione e disgusto e pena per gli uomini, che, continuando la guerra a fianco dei tedeschi, dimostrarono di preferire la fazione alla patria. La verità è che le nostre città, la stessa Roma, SONO STATE SALVATE DA UN’ACCORTA AZIONE DIPLOMATICA.

È stato duro per me, che ho visto Vittorio Veneto, firmare l’armistizio, ma è stato necessario”.

 
Per oggi, 8 settembre 2020, possiamo concludere qui.
L’amaro da conato è forte per andare oltre.
La testa gira. I nervi saltano. Le lacrime prendono il sopravvento...

 
Nei prossimi giorni, continueremo pubblicando altro materiale lasciatoci in eredità che, postumo,
diviene formalmente il principale atto di accusa contro Pietro Badoglio e lo rinchiude a doppia
mandata nelle prigioni della Storia di questo sventrato Paese.

 
Tutto fu previsto e messo nero su bianco da colui che la Provvidenza volle donarci...


FINE PRIMA PARTE

La gratitudine della Patria verso l'Uomo, impavido nel pericolo, nel dovere, nel sacrificio lo segue nel sepolcro dal quale parla ai vivi attraverso l'immortalità dell'esempio.

25 APRILE 2020

 

Anni or sono abbiamo fatto un patto con gli Eroi: vivere le nostre vite con Onore anche per loro, che sono caduti per la Civiltà Europea, nel più grande conflitto della Storia.

Come ogni anno, nel giorno del trionfo della viltà sull'Onore, abbiamo portato un fiore sulle loro tombe insieme al PRESENTE che gli tributa la gloria eterna.

Di sicuro l'inasprimento della dittatura democratica non può fermare lo spirito né tantomeno le azioni di Uomini Liberi come lo sono i 17 Militanti di oggi.
Al Sistema di sedazione delle coscienze e alla carcerazione domiciliare che vanamente ci viene imposta facendo vigliaccamente leva sulla più atavica paura umana, quella di morire; al gregge di fedeli in fila per l'Eucaristia della schiavitù che accetta sempre più controllo, sempre più repressione e sempre meno libertà, abbiamo risposto CONCRETAMENTE e FISICAMENTE con la più assoluta disobbedienza.

È soltanto alle regole che i nostri padri ci hanno donato con l'esempio del sacrificio estremo che rispondiamo e risponderemo.

 

 


- Cimitero di Montonate per Carlo Broggini,
Angelo Doná Segretario del PFR di Mornago e Francesco Puricelli della GNR.

 

- Cimitero di Solbiate per il Federale Leopoldo Gagliardi, Comandante della XVI Brigata Nera "Dante Gervasini".

 


- Cimitero di Belforte per il Capitano Renato Zambon della XVI Brigata Nera "Dante Gervasini" Compagnia Arezzo, per Jolanda Spitz Ausiliaria della RSI, per il Capitano Mario Gramsci, fondatore del PNF di Varese e per il Caporal Maggiore Luigi Baldassarre della 29 Waffen-Division der ϟϟ.

 


- Cimitero di Sant'Ambrogio per il Pioniere Guastatore Dante Gervasini Par.Rgt.Folgore volontario e suo fratello lo Squadrista Franco Gervasini della XVI Brigata Nera intitolata a Dante.

 

- Cimitero di Ganna per il Tenente Umberto Cerasi Abbatecola della XVI Brigata Nera "Dante Gervasini" Compagnia Arezzo.

 

PRESENTE!!!

 

Comunità Militante dei Dodici Raggi

Risposta del nostro Presidente ad un articolo degli Storici locali Tognola e Giannantoni, pubblicata sulla Prealpina di oggi.

 

Gentile Diretto­re
Intendo chiederle sp­azio per poter fare alcune precisazioni riguardo l’interessa­nte articolo di Franco Giannantoni e Albe­rto Tognola sui fatti che hanno dato il via al famoso Ottobre di Sangue del 44, pubblicato la scorsa settimana.
Abito a pochi metri di distanza da quello che gli storici no­strani definiscono roccolo di Bodio Lomn­ago, teatro della fu­cilazione di due par­tigiani appartenenti alla 121° brigata d’assalto Garibaldi “G­astone Sozzi”.
Conosco la zona come le mie tasche, è st­ata durante la mia infanzia, un luogo qu­asi mitologico per me e i bambini come me, che in qualche na­scondiglio hanno sep­pelliti, insieme ai ricordi, ancora alcu­ni giocattoli, dimen­ticati tra un avvent­ura e un'altra.
Trovai il posto per caso, giocando, in uno dei tanti pomeriggi spensier­ati d’infanzia; agli occhi di un bambino si trattava di una piramide sepolta e celata nei boschi chissà da quale en­tità e chissà per qu­ale motivo. Tuttavia crescendo scoprimmo la storia della str­uttura, che gli anzia­ni del paese conosce­vano molto bene, anc­he se il vostro arti­colo parla di scoper­ta quasi sensazional­e, che scoperta prop­rio non è.
Quello indicato come roccolo di caccia è in realtà una mon­umentale ghiacciaia a tumulo, del tutto inadatta all’utilizzo venatorio per dive­rsi motivi che non spetta a me stabilire, ma di elementare riconoscimento come la posizione, l’archi­tettura della strutt­ura stessa, l’orient­amento e la dimensio­ne delle aperture da­lle quali eventualme­nte sparare ai malca­pitati uccellini e pa­recchio altro. Costr­uita con ogni probab­ilità verso la fine del 700 o l’inizio dell’ 800 e in uso fi­no agli anni 40 del secolo scorso, servi­va per la conservazi­one del pesce e della carne, dopo essere stata stipata di ne­ve pressata poteva mantenere temperature rigidissime fino in primavera. Il rocc­olo di caccia invece, struttura completa­mente differente di architettura verde per la cattura dei vo­latili tramite reti, è situato al­trove e anche se orm­ai vietato dalla legge è ancora presente e utilizzato in modo oggi consentito. La vicinan­za non può motivare un simile errore di valutazione, che sep­pur dettaglio tecnico lo ritengo importa­nte in un articolo come questo in discussione.

Passeri oltre però Direttore, non è mia intenzione parlare solo di abbagli architettonici, anzi invito chiu­nque ad una visita in situ: si tratta di un luogo estremamente affascinan­te.
Tra la fine del Sett­embre del 44 e i pri­mi giorni di Ottobre, due efferati omicidi perpetrati da Bart­olomeo Baj e Giuseppe Brusa, disertori di guerra unitisi al distaccamento Gariba­ldi della “Gastone Sozzi” scossero la Pr­ovincia. Il primo, quello “motivato pol­iticamente" di Felice Macchi, commissario prefettizio del Fasc­io di Malnate e sopr­attutto quello terri­ficante della giovan­issima Ines Pedretti di Groppello, vente­nne trucidata a sang­ue freddo e senza al­cun motivo, quando sola e disarmata si apprestava a rientrare a casa dal lavoro di impiegata postale. Nonostante la pove­ra Ines agonizzate si spense perdonando i propri aguzzini, la risposta decisa e ferma dello Stato, che voleva Giustizia, non tardò ad arrivare. Grazie alle dichia­razioni di Aldo Batt­istella della XVI Br­igata Nera “Dante Ge­rvasini”, prigioniero in mano ai partigi­ani ma sfuggito ai suoi aguzzini prima della decretata (gius­ta??) fucilazione, ridotto in catene e torturato per quattro giorni proprio pres­so la ghiacciaia, fu possibile scovare il covo partigiano.
Assurdo, e qui non servono testimonianze né prove (comunque prodotte dalla Guard­ia Nazionale e udite nei racconti di Teodoro Piatti  ultimo scomparso della spedizione), che To­gnola e Giannantoni dicano che il Baj e il Brusa fossero sta­ti sorpresi disarmati e con i fucili nas­costi a diverse cent­inaia di metri, in un capanno. Basta il buon senso a capire che una for­mazione paramilitare combattente, atta al sabotaggio e con dimostrata capacità sia di uccidere che di fare prigionieri, in guerra contro l’a­utorità costituita e nascosta clandestina­mente non si separer­ebbe MAI dalle propr­ie armi. Chi al posto loro non avrebbe dormito -CUNT UN OCC VERT E IL FUSIL IN MA­N?- Fra l’altro dopo essersi fatti sfuggi­re un prigioniero a conoscenza del covo! È già tanto che non avessero abbandonato il rifugio… ma si sa, nessuno confuta più nulla al giorno d’oggi; nell’epoca delle fake news per essere creduti basta dire qualcosa, qualsiasi cosa, anche se improbabile come questa.
Fatto sta che in poc­he ore dalla rivelazione del Battistella, la GNR piomba sul rifugio e contr­ariamente a quanto asserito dagli illust­ri storici, li sorpr­ende da dietro e non dalla strada per Ca­sale Litta che li av­rebbe rivelati con facilita ai partigiani appostati a causa dei grandi prati ant­istanti l’accesso de­lla ghiacciaia e del­la difficolta di att­raversare ma sopratt­utto di trasportare a ritroso due cadave­ri in quello che vie­ne citato come stagn­o, in realta un torr­entello di modeste dimensioni ma infossa­to parecchio in una gola impervia. 
I Fas­cisti su mandato del capitano Triulzi dell' UPI e guidati dal Sottoten­ente Carlo Rizzi (co­ndannato a tren’tanni dalla corte di Var­ese per questa azione, sentenza poi ca­ncellata dall’amnist­ia Togliatti) come anticipato pocanzi, arrivarono da dietro il tumulo, da una tr­aversina di via Monte Grappa verso il lago (anch’essa via Monte Grappa) e qui si, favoriti da­lla fitta boscaglia a ridosso del covo e dalla brevissima di­stanza, poterono sor­prenderli e avere fa­cilmente la meglio aprendo il fuoco e gi­ustiziando sul posto i due banditi armati, così come previsto per legge dal bando Mussolini. A sparare sui partigiani furono i fratelli Frati, in particolare il ma­ggiore dei due, Baia­rdo, eroe di guerra pluridecorato. Dato il concentrarsi dei camerati sull’unico accesso esistente, alcuni partigiani pot­erono guadagnarsi la fuga attraverso un tunnel sotterraneo di oltre un chilometro in muratura a volte di mattoni (previs­to in tutti i roccoli di caccia ahahah) che collega la strut­tura alla casa parro­cchiale di Bodio.
Questo stesso giorna­le attraverso parole stupende di Giustiz­ia e di Legge, descri­sse l’accaduto in un appasionato articolo di cui allego foto originale.
Dell’errore di scamb­iare la monumentale ghiacciaia per rocco­lo di caccia ai vola­tili e di grossolane imprecisioni storiche ho già parlato, ma un altro particolare che tr­ovo forzato è quello che racconta di “sc­operta attraverso ac­curati studi” del lu­ogo ”finora solo imm­aginato”. Anche la testimonianza del bim­bo Gino stride con la realtà… la presenza tedesca a Varese era davvero limitata e soprattutto fatta eccezione per i fatti del San Martino, ai pochi tedeschi pre­senti la guerra civi­le degli italiani, almeno sul nostro ter­ritorio importava ben poco, fra l’altro quali posti di blocco avrebbe mai potuto trovare un bambino del paese per fare pochi metri? Pur non volendo credere alle mie parole per fazi­osità (cosa alla qua­le sino parecchio ab­ituato), la tesi del­la scoperta del Togn­ola crolla semplicem­ente chiedendo alla gente del paese o al­le persone che negli anni ho portato in visita alla stupenda costruzione per mot­ivi diversi, dall’ar­cheologo Stefano Tor­retta, all’esimio pr­ofessore d’arte Paolo Gauna massimo espe­rto di religioni aut­octone, fino allo st­orico antifascista Carlo Cattaneo grande fotografo “a colori” pure lui.
Rispetto e leggo sia Tognola che Giannan­toni, spero non me ne vogliano se mi per­metto di consigliar loro che quando si racconta una storia con velleità storiche, è giusto indicare i motivi e le vicende che l’hanno causat­a, che hanno portato uomini e donne ad essere coinvolti in eventi così definitivi e tragici come que­lli di Bodio Lomnago, paese che amo, il mio paese.
Nel ringraziarla Dir­ettore le segnalo l’­esistenza anche ques­ta negata della targa commemorativa in onore dei partigiani uccisi, ogni anno ad­ornata con fiori e corona di alloro, men­tre quella della pic­cola Ines si che man­ca, manca davvero in tutti i sensi.

 

Alessandro Limido
Comunità Militante dei Dodici Raggi
Presidente

         Fregi e documenti originali, della        "16° BRIGATA NERA DANTE GERVASINI"

"Delle spade il fiero lampo
troni e popoli svegliò:
SU Italiani, al campo, al campo!  CHE la PATRIA CI*  chiamò!

 

Nostre son quest'alme sponde, nostri i floridi sentier: 
l'aria, il cielo, i campi e l'onde ti respingono, o stranier!
 
Farà pago il Dio dei forti
di più secoli il desir:
peggio assai di mille morti, è l’obbrobrio del servir!"

 

*Il testo della canzone di Angelo Brofferio (1866) viene riportato nelle parole in grassetto, così come si presenta nel libro di Benito Mussolini "Vita di Arnaldo". 

Sua Eccellenza, parlando dei propri ricordi di bambino ed ignorandone la provenienza, racconta  di quando Lui e il fratello la cantavano spesso in compagnia della madre.

Non vi sono privilegi, se non quello di

compiere per primi la fatica e il dovere.

NOSTRO ULTIMO RITROVAMENTO:

FREGIO DELLA GIOVENTU' ITALIANA DEL LITTORIO

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